Partiamo da qui va. "Quel 'generoso' è il vero equivoco. Io non raddoppiavo tutti per istinto animale, ma perché, banalmente, mi ero detto che sarebbero matematicamente aumentate le probabilità di recuperare palla e perché capivo prima di tutti dove sarebbe finito il pallone. Questo era il principio, a cui poi si accompagnava la mia spiccata propensione alla corsa. Io non ero un grande giocatore, ero solo più intelligente di chi mi stava attorno. Detto così sembra quasi che mi sentissi solo un calciatore, ma io mi sono sempre sentito soprattutto un calciatore pensante".
L'hanno già inquadrato in Senegal, dove vive almeno tre o quattro mesi ogni anno ormai da tempo, l'ex capitano dello Spezia. C'è chi lo definisce un marabout bianco, ovvero il sacerdote, il santone. Fa l'interprete di Wyscout per lo stato africano e per la Bulgaria, l'Italia ormai è un trampolino per spostarsi da una parte e dall'altra. Mille giocatori da studiare ogni anno, un competitor russo che si è messo in testa di fare proprio come gli italiani. "Non sapevo una parola di francese quando sono arrivato, ora una conversazione trascorre tranquillamente. Sto imparando il uolof, il dialetto locale. Per il resto del Senegal conosco tutto, dal confine con la Mauritania fino al Gambia. Anzi, in Gambia qualche anno fa io e Abel Balbo eravamo stati ospiti per seguire il progetto di aiutare il loro calcio. Qua si gioca ancora in strada, ovunque sono campi di sabbia dai quali spuntano copertoni di camion semisepolti. Parlavo con il responsabile delle giovanili di un importante club italiano che ha definito i ragazzi che escono dalle primavere nostre polli da batteria. Fatti in serie insomma. Qui invece è tutto diverso, non sono istruiti calcisticamente e quindi ognuno ha qualcosa di diverso, di personale".
Poche strutture di altissimo livello, il resto è passione. "Il Diambars, fondato da Patrick Vieira e Basile Boli, è una realtà incredibile. Un centro sportivo bellissimo, convitto, campi di calcio, lavanderia, scuola... allevano ragazzi e poi li mandano a misurarsi nei tornei giovanili più importanti in Europa. Con quelli che non vanno via invece ci vincono il campionato di casa. Io qua sto bene, devi abituarti a come guidano e al fatto che la razionalità non è sempre un valore condiviso. Quando c'era l'Ebola mi chiamavano dall'Italia: torna. Ho da fare, gli ho risposto. Sono un kamikaze, ma con raziocinio. La realtà è che mi servono sempre nuovi stimoli, sfide diverse".
Nella vicina Nigeria c'è la Social Sport che fa qualcosa di simile al Diambars ad Abuja. "Per una realtà come la proprietà dello Spezia era in pratica un atto dovuto. Una ricaduta spontanea vista la conoscenza che aveva del territorio in questione. L'arrivo del Barcellona in Nigeria? Qua in Senegal opera già da tempo". Per i più fortunati al termine del salto c'è il "Ferdeghini": Sadiq e Nura ne hanno fatto un trampolino per il grande calcio. "Ho visto la struttura passando dal raccordo autostradale. Io penso che possano pensare anche a qualcosa di molto più ambizioso, soprattutto se arriverà la serie A. Quello è un passo che darebbe una consapevolezza diversa a tutto l'ambiente. Arrivare in A con lo Spezia, con la passione che esprimono quei tifosi... le emozioni che hanno generato in passato nella mia vita non si dimenticano".
Già la serie A, quella che a Novara è arrivata proprio poco dopo l'addio di Borgo. "All'indomani della promozione del 2011 mi hanno chiamato i giornalisti da lì 'd'altra parte è anche merito suo...'. Non 'anche', quel Novara è soprattutto un'intuizione di Sergio Borgo, concedetemi di dirlo. La seduzione fatta alla proprietà De Salvo, la più illuminata che abbia incontrato in vent'anni di carriera da direttore. Dove c'è Novarello adesso, ci sono stato quando era un terreno abbandonato con un vecchio mulino in cui dormiva un clochard. L'ho visto staccare i pioli da una scala di legno per bruciarli e io pensavo a un centro sportivo. Mi mandarono al Psv a vedere se riuscivamo a rubare qualche intuizione. Ho concepito, partorito e costruito quel miracolo. E quando sono arrivato nel 2001 c'erano 33 paganti, pioveva dentro lo stadio, il campo d'allenamento aveva i virgulti di platano che spuntavano qua e là e non c'erano cartelli stradali che indicavano il campo sportivo".
Fa il direttore fino al 2009, nei due anni successivi arrivano due promozioni dalla C1 alla A. "Con sette undicesimi della squadra che avevo fatto io. Due anni prima avevo detto al presidente: non prometta la B quest'anno, parli di massima serie in cinque anni. Ci sono andati in quattro. Mi avevano offerto un contratto di dieci anni, poi di prendere Pasquale Sensibile a fare il diesse e rimanere direttore. Risposi che sarei stato un folle a portare Sensibile senza poi lasciarlo lavorare. E che se qualcuno pensava che sarei rimasto con un ruolo meno operativo di quello che avevo avuto nel decennio precedente, allora non mi conoscevano abbastanza".
Sul mercato le intuizioni si erano chiamate Rubino, Porcari e Bertani tra gli altri. "Ancora prima mi ricordo che si diceva che Zaniolo non poteva giocare a quei livelli, che Cioffi non poteva stare nei prof e poi ha esordito in serie A a 33 anni dopo tre crociati. Chiappara l'abbiamo pescato in D ed è finito all'Empoli. Al Picco? Ci sono ricapitato, ma sembra sempre che sei lì in attesa di collocamento".
Rimane la Bulgaria, dove "è venuto meno il concetto di formazione che c'era un tempo, ma stanno crescendo perché vengono contaminati dalla cultura specifica". E poi il Senegal, dove "con 200 euro ti cambiano la data di nascita in un attimo e ti levi dieci anni; se non ha mai avuto il passaporto, puoi cambiare anche nome".
Niente nostalgia dell'Italia? "Qualche volta, ma è una coazione a ripetere. Tornare a fare il direttore? Nei miei anni ho accumulato tanto di quello stress che ancora ne soffro le conseguenze. Ho fatto il calciatore, il direttore, il presidente e anche l'allenatore quando serviva, conosco tutti i mestieri. Ero quello che faceva i miracoli con pochi soldi, ora mi diverto più così. Aspiro allo sguardo del folle, come nei monasteri tibetani. Fede e fiducia sono sinonimi, se a una cosa credi veramente alla fine accade. E poi ho vinto tanto in carriera, anche se devo dire che so perdere come pochi".
Intervista rilasciata a "Cittàdellaspezia" Andrea Bonatti; www.cittadellaspezia.com/La-Spezia/Sport/Borgo-il-marabout-Dal-Senegal-guardo-il-205292.aspx