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sabato 22 luglio 2017 - 19:19
di Massimo Barbero

Quest’estate a sorprendermi, più che il trasferimento di Bonucci al Milan, è stato l’entusiasmo dilagante con cui i tifosi rossoneri hanno accolto, sin dal primo istante, l’arrivo di un uomo simbolo della rivale tradizionalmente meno simpatica ai calciofili non bianconeri. Di solito cotanti onori erano riserva di fantasisti ed attaccanti di valore assoluto in grado di deliziare le folle a prescindere dalla casacca di appartenenza. Gli altri la stima e soprattutto l’affetto dei nuovi supporters se lo sarebbero dovuti guadagnare sul campo con impegno, rendimento ed attaccamento alla maglia. Invece un difensore fino a pochi giorni prima considerato l’emblema della juventinità (vocabolo da intendersi anche nell’accezione meno positiva) è stato insignito sin dal primo giorno dei gradi di capitano del Milan tra il consenso popolare. Non sto a scomodare il caso-limite di Manfredonia respinto dai romanisti perchè ex laziale, ma ricordo bene la diffidenza con cui il popolo bianconero aveva accolto il pur grandissimo Roberto Baggio. Nemmeno stagioni dense di gol e prodezze assortite erano mai riuscite a cancellare del tutto le  dichiarazioni d’amore eterno per i colori viola (poi disattese) da parte del “codino”. Destino analogo per Trapattoni, Torricelli e Di Livio che anni dopo avevano percorso la stessa Autostrada, seppur in direzione Firenze. Tempi evidentemente molto diversi da quelli che stiamo vivendo…

Mi riesce semplice immaginare la vostra principale obiezione a questo mio insolito attacco: “Che c’azzecca con il Novara tutto questo?”. In realtà, nella sua particolarità, il fenomeno Bonucci è la spia di un mondo che sta cambiando. Non per le società che da almeno un ventennio a questa parte hanno messo la priorità del profitto (o, se preferite, del contenimento dei costi) al di sopra di ogni discorso affettivo. Non per i giocatori che si sono già adattati di buon grado da diverso tempo a questo ordine di cose che permette almeno ai migliori di fruire di contratti sempre più ricchi e vantaggiosi. Ma adesso evidentemente sta cambiando qualcosa anche per i tifosi (salvo gli immancabili irriducibili) che erano rimasti gli ultimi a credere ancora nel valore delle bandiere e di certi legami, nel bene o nel male, considerati più importanti dei risvolti tecnici e soprattutto economici.

Per fortuna in provincia le cose stanno ancora diversamente. Sono convinto che tuttoggi alla domanda “potendo scegliere… che attaccante vorresti vedere in maglia azzurra l’anno prossimo?” 9 tifosi del Novara su 10 risponderebbero ancora “PABLO”. E questo soprattutto in virtù dell’affetto per un giocatore che ha dato tantissimo ai nostri colori, dal punto di vista calcistico ed umano.

Però dal 1986 in poi il microcosmo Milan ha fatto spesso da precursore dei tempi per l’intero calcio italiano. Da quelle parti sono nate e si sono sviluppate idee e fenomeni che, per quanto avversati all’inizio, sono diventati pian piano prassi diffusa per tutti. Mi riferisco alle presentazioni spettacolo, alla preparazione da svolgere nel centro sportivo di casa, alle amichevoli di lusso da diffondere in tv in pieno agosto mentre la Juve si esibiva a Casale Monferrato o Villar Perosa, alle rose allargate a 22-25 elementi, alla mentalità di giocare sempre per vincere anche fuori casa e persino all’estero, al progetto di restringere gli stadi e limitare la presenza di tifosi in trasferta per trasmettere tutte le partite tramite emittenti a pagamento. Innovazioni quasi interamente mutuate dagli sport americani che con il passare del tempo hanno preso piede anche in Europa, nel mondo del pallone spesso dolcemente ancorato alle tradizioni.

Così anche la smisurata euforia a fronte del “trasferimento dell’estate” (sigh) potrebbe essere la spia di un modo diverso di vedere e vivere il calcio da parte degli stessi appassionati. Che si sono ribellati a lungo all’idea di rinunciare alle bandiere, che si sono commossi di fronte all’epilogo della parabola di Totti, ma che ora sembrano pronti ad abituarsi all’idea di uno sport stile “play station” (come sono antiquato…) in cui l’unica cosa che conta è poter vantare sul campo la squadra migliore. A costo di rivoluzionare la rosa ogni anno, di ingaggiare elementi prima detestati che invece vengono eletti immediatamente a beniamini assoluti.

D’altro canto l’avvento massiccio di danarosi investitori stranieri anche nel calcio italiano ha portato ad una “globalizzazione” pure dal punto di vista dei fruitori dello spettacolo. I tifosi che in Cina cantano “chi non salta è nelazzullo” non sono meno importanti di quelli che attendono notizie in Italia. Perchè li uni e gli altri, nella quasi totalità dei casi, la partita la guarderanno soltanto in tv (o in streaming). Anzi, verosimilmente i supporters asiatici con ogni probabilità si riveleranno più danarosi e generosi nell’acquistare un merchandising realizzato ad hoc. E comunque l’introito dei diritti televisivi avrà un’incidenza ben maggiore degli incassi al botteghino. In Cina (o in altri angoli del pianeta comunque portatori di denaro) si disputano le amichevoli estive, talvolta la Supercoppa. Forse un giorno trasferiranno là persino alcune gare di campionato. Tanto cosa cambierebbe per la stragrande maggioranza dei calciofili italiani? Che si giochi a Pechino piuttosto che a San Siro… la quasi totalità dei tifosi delle “strisciate” la partita della propria squadra del cuore la guarda comunque sempre in tv…

Alla luce del quadro che ho appena delineato l’unica ragione che giustifica ancora l’essere tifosi è la vittoria, l’atollo estremo di una passione sempre più superficiale e meno radicata tra la gente. Una volta c’erano calciatori-bandiera, abitudini, legami, storia e tradizioni a cui affezionarsi. Ora conta vincere, solo vincere perché il contorno si è fatto quasi asettico, impersonale.

Se la mia squadra del cuore vince la guardo in tv… altrimenti cambio canale o esco a farmi un giro. Come se fosse un film poco avvincente o un concerto che ha deluso le attese. Con questa mentalità il secondo posto equivale al decimo perché in entrambi i casi sempre di una sconfitta si tratta. E’ un modo di pensare che comincio a cogliere in maniera preoccupante anche in qualche frequentatore del nostro “muro”. Leggevo la scorsa settimana, a proposito del rinnovo degli abbonamenti che procede a rilento, dei commenti del genere “per forza che la gente non si abbona… Chi è stato deluso in passato non torna più…”. Perché deluso? Quanti campionati “deludenti” avrebbe disputato il Novara negli ultimi 10 anni? Io considero una vera delusione l’annata della caduta in Lega Pro, ma è stata ampiamente riscattata dall’immediata risalita. E gli altri? E’ deludente un anno di B in cui ci spingiamo fino alle semifinali play off contro il Pescara di un lanciatissimo Lapadula? E’ stata deludente la passata stagione in cui, malgrado cessioni di rilievo, non abbiamo corso reali rischi di retrocessione togliendoci lo sfizio di espugnare stadi come Verona, Ascoli o Cesena?

Partendo da queste basi, tra venti o trent’anni il calcio di provincia potrà reggere ancora il confronto? Onestamente ad oggi non sono molto ottimista nel rispondere a questo quesito in quanto il paragone sembra impietoso. Perché la tradizione si sta perdendo al passaggio delle generazioni in città sempre più gremite di gente proveniente da ogni altra parte del mondo. Perché, spogliati dall’aspetto affettivo, rimane soltanto il valore tecnico dei protagonisti… ed allora meglio vedere all’opera CR7, Messi, Higuain, Icardi e compagnia cantante o, con tutto il rispetto, Corazza ed Evacuo?

Non ho mai nascosto di essere stato uno juventino sfegatato da divano nei miei primi dieci anni di vita. Ma poi ho visto Elli e Fabio Scienza scorazzare sulla fascia a pochi metri da me e mi sono reso conto dell’esistenza di qualcosa di molto più accattivante di quel calcio ascoltato alla radio o sbirciato in brevi sintesi serali. Ovvero del fascino di quella maglia azzurra da sognare brillante in una domenica di sole e finalmente vincente. La gioia di condividere la stessa passione con altre migliaia di persone al proprio fianco. L’emozione di frequentare di persona i beniamini che mi facevano battere il cuore e di provare a conoscere ogni risvolto quotidiano di quel mondo comunque fatato, a dispetto della C2 perdurante.

Allora però la Juve la trasmettevano in diretta tv (se andava avanti nelle coppe) non più di tre-quattro volte a stagione. Di vedere una partita intera del Barcellona o del Real Madrid poteva capitare, al massimo, una volta all’anno. Ogni si può vedere in tempo reale qualsiasi squadra a livello planetario o quasi. Dal Real Madrid alla Giana Erminio l’offerta è completa, dettagliata e capillare… Ed i bambini dotati di telecomando o computer per lo streaming… cosa sceglieranno mai tra Cristiano Ronaldo e Pinardi… tra Dybala e Scaccabarozzi… o persino tra Higuain e Cacia?

Eppure… come dice spesso in pullman, sottovoce ai compagni di trasferte, il nostro grandissimo amico Alessandro: “Guardare una partita alla tv è come fare l’amore con il preservativo”. Mai testimonial per la campagna abbonamenti azzurra fu più azzeccato… perché Lui è davvero l’emblema di una passione da gustare dal vivo sempre e comunque in maniera entusiasta e positiva… E da tramandare ai più giovani per evitare che, ingannati dall’illusione del telecomando, corrano il rischio di perdersi una delle sensazioni più intense e gratificanti… l’adrenalina da stadio!

Conoscete qualcosa di più emozionante che essere al “San Nicola” ed accorgersi che il boato dei 50 mila si è spento di colpo perché il tabellone riporta “Bari 0 Novara 1”? Oppure di più esaltante che trovarsi a Cesena a vedere che le mani di Lorenzo Montipò si allungano ovunque a negare ai padroni di casa la gioia di un pareggio che sembra imminente? O ancora essere seduti al “Piola” con a fianco Danny Faranna a cui non escono le parole, ma solo lacrime, per l’emozione del 2-1 di Calderoni in pieno recupero?

Amo lo stadio, il vociare della gente che prende posto sugli spalti, le emozioni che trasmette il boato della folla finalmente genuina nello sfogare la propria passione… Non perdetevi tutto questo e soprattutto fate in modo che i vostri figli e nipoti abbiano la possibilità di scoprire, vivere ed affezionarsi a tutto questo…

Amo lo stadio e dopo due mesi mi manca già tantissimo… Per tornare a sedersi davanti alla tv c’è sempre tempo… Forza Novara sempre!!!

Massimo Barbero

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